GINO e NERA LAURA Antiquari La villa San Luca Museo delle loro collezioni

Nera e Gino e Nera Laura hanno hanno vissuto la loro lunga vicenda di grandi antiquari nelle maggiori capitali europee, ma la loro sede privilegiata è sempre stata Ospedaletti  ed in particolare Villa San Luca, una ex chiesa anglicana adattata  ad abitazione ed oggi Museo delle loro collezioni. Infatti hanno voluto  donarla interamente   al F.A.I. che la gestisce  e ne assicura la visita su prenotazione.

Italo e Gino. Il barone rampante sono io   dal volume di Luigi Anton Laura: La vita, la Casa…. Racconti di un antiquario, collezionista Viaggiatore. Ed Allemandi 

“Ci trovammo. Lui, imbacuccato in una coperta, scese sin sulla bassa forcella d’un salice per mostrarmi come si saliva, attraverso un complicato intrico di ramificazioni, fino al faggio dall’alto noce, dal quale veniva quella luce. Gli diedi subito l’ombrello con po’ di pacchi, e provammo ad arrampicarci con gli ombrelli aperti, ma era impossibile, e ci bagnavamo lo stesso.”

«Hai letto Il barone rampante?», mi domandò Italo. Gli risposi di si. « E lo sai chi e il barone?». « No, non saprei». «Quello sei tu». « Io?». « Ricordi quella volta che in giardino, da te, mi avete aiutato a salire sull’albero e…». Perché lui, Italo Calvino, pur essendo figlio di un botanico e avendo un meraviglioso giardino, era un po’ imbranato e non sapeva arrampicarsi sugli alberi. Era il periodo dei primi film su Tarzan, un uomo scimmia, e mio cugino Mimmo ed io avevamo costruito una capanna su un platano. Allora, Mimmo lo tirò da sopra e io lo spinsi da sotto… Una gran sudata, ma alla fine eravamo tutti e tre felici sulla piattaforma della nostra casetta, tra i rami, le foglie e i passerotti, mentre scendeva una pioggerellina primaverile.   

“Cosimo era sull’elce. I rami si sbracciavano, alti ponti sopra la terra. Tirava un lieve vento; c’era il sole. il sole era tra le foglie, e noi per vedere Cosimo dovevamo farci schermo con la mano. Cosimo guardava il mondo dall’albero: ogni cosa, vista di lassù, era diversa, e questo era già un divertimento.” 

Non l’avevamo costruita per isolarci dal mondo. Non era il buen retiro dove io andavo per astrarmi. Certo, il giardino era quello di casa mia, Mimmo veniva raramente e io ci salivo qualche volta per leggere i giornaletti in tranquillità. Ma non ero tipo da isolarmi. Italo, si. Era taciturno e riflessivo. Scrivendo Il barone rampante ha operato una sorta di transfert: ha pensato a me, ma mi ha «costruito» con la sua testa e la sua sensibilità. Il risultato é Cosimo, che qualcuno identifica in Libereso Guglielmi, il vecchio giardiniere di Villa Meridiana, la casa dei Calvino a Sanremo. Può essere benissimo. Un romanziere, quando crea un personaggio, ci mette dentro di tutto.  Italo e stato l’amico del cuore della mia adolescenza. Di un anno più giovane, abbiamo condiviso i banchi di scuola per cinque anni al ginnasio di Sanremo, intitolato all’astronomo del Re Sole Gian Domenico Cassini, nativo di Perinaldo, un paese del nostro entroterra. Poi, anziché fare i tre anni di liceo classico (allora i cicli scolastici erano diversi da quelli di oggi), mi sono iscritto al liceo artistico di Genova. Così non ho mai conosciuto Eugenio Scalfari, che prese il mio posto  nel banco a fianco di Italo e che arrivo in classe quando ero già all’artistico (uno dei pochi che ancora campano. Poi ci sono Pigatti, che fa il dentista e ha tre bypass, e il dottor Millo, che invece sta benissimo). Italo era un sanremasco puro (noi diciamo sempre sanremasco invece di sanremese, perché é più incisivo). In verità era nato a Cuba dove il padre Mario, un botanico famoso, si era recato per studiare la flora locale. La madre, Eva Mameli, era sarda, anche lei professoressa di botanica. Avevano la villa dietro il rondò Francia dove Italo arrivo bimbetto. Frequentò le elementari a Sanremo, io a Bordighera dove mio padre faceva il maestro e dove avevamo una casa in affitto. La nostra casa era comunque quella di Sanremo, con il giardino e gli alberi dove ho insegnato a Italo i rudimenti dell’arte di Tarzan. Ci siamo conosciuti che avevamo dieci, undici anni. Tra i mille ricordi che affiorano alla mente c’è quello dell’ora di religione. Lui era ateo, evidentemente di famiglia atea, e aveva la dispensa; quando entrava il sacerdote per la lezione lui si alzava, faceva un inchino e usciva. Con nostra somma invidia. Aveva un fratello, Floriano, molto intelligente, assai diverso da Italo, portato per la matematica e le scienze. Morì prima di lui. Italo era comunista, Floriano era fascista. Durante l’occupazione tedesca Italo era partigiano, nascosto nelle colline sopra Sanremo. Il padre chiamava Floriano: «Porta da mangiare a to frae». Quello prendeva la gavetta, arrivava al nascondiglio e gliela sbatteva sul tavolo: «Tie’ vigliacco, traditore…». La cosa andò avanti per un po’. Poi, finita  la guerra, finì tutto. Cosi come un giorno finì anche la sua militanza politica. Era il 1956 ed era a pranzo da me, a Ospedaletti, c’era la radio accesa mentre mangiavamo nel tinello. Il Giornale Radio diede la notizia che i russi erano entrati a Budapest, lui impallidì e mi disse: « Io la tessera del Partito Comunista la strappo». Confesso che me l’aspettavo quella notizia. Lui, no. Per lui fu un vero colpo. Calvino tornava spesso in Riviera dalle città dove viveva (Torino, Parigi, Roma) ed é rimasto per me l’amico del cuore, l’amico della vita, e tale sarebbe ancora oggi se non fosse morto giovane, nel 1985. L’idea che potesse morire non mi sfiorò mai. Ero a Firenze quando lessi sul giornale che lo scrittore Italo Calvino aveva avuto un malore nella sua casa di Castiglione della Pescaia. Li per li non la presi cosi sul serio. L’indomani era morto, a Siena: un ictus. La notizia mi lasciò di stucco; per giunta si interruppero i rapporti con la sua famiglia, perché la moglie mi rimproverò di non essere corso al suo capezzale. Non me lo ha mai perdonato. Le ho scritto una lettera… Non so più neanche dove abiti. L’ultima volta che incontrai Italo, con la moglie e la figlia, fu a Roma. Passeggiavo per Trastevere quando mi sentii chiamare da una finestra: «Vieni su, vieni a vedere la casa che abbiamo comprato». Gli avevo arredato la casa di Sanremo, Villa Meridiana, che aveva ereditato alla morte dei genitori e che poi cedette (chi dice regalata, chi dice venduta) al Comune. Quando si trasferì a Torino, per lavorare da Einaudi, mi recai qualche volta a trovarlo, ma in quella casa non feci nulla. Poi fu la volta di Parigi, e anche qui gli arredai casa. Infine l’abitazione di Trastevere, molto bella, tutta sui tetti, dove ritrovai tanti mobili che gli avevo venduto nel corso degli anni. Da ultimo acquistò la tenuta a Castiglione della Pescaia, dove ha vissuto fino alla fine dei suoi giorni.  (Intervista a Gino Laura raccolta dal giornalista Enrico Morbidelli). 

Villa San Luca, una ex chiesa anglicana adattata da Gino e Nera Laura ad abitazione e museo delle loro collezioni è stata interamente donata al F.A.I.  che la gestisce  e ne assicura la visita su prenotazione.

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