Le PIANTE di MARIO CALVINO descritte da Libereso

L’eredità di Mario Calvino: piante e frutti esotici, la gloria dei giardini della riviera Il lavoro svolto da Mario Calvino durante il periodo della direzione dell’Istituto Sperimentale è stato davvero imponente. Ha lasciato alla nostra città in eredità un patrimonio consistente, ancora presente nei principali parchi pubblici e privati di Sanremo. È un patrimonio vegetale bisognoso di tutela e di salvaguardia, che Sanremo avrebbe il dovere, ma soprattutto l’interesse a difendere, proprio per pubblicizzare e ampliare la sua duplice vocazione di produttrice di fiori a livello mondiale e di stazione turistica di grido, soprattutto sotto il profilo climatico. E quale maggiore testimonianza della dolcezza del clima, quale diretta e tangibile prova si potrebbe trovare se non la presenza nei nostri giardini di rare specie vegetali che appartengono alla fascia tropicale e sub-tropicale del pianeta. Le piante non mentono mai; o si realizzano per intero le condizioni ambientali per la loro esistenza o chinano la testa e muoiono. I rigori dell’inverno del ’85 hanno costituito un severo banco di prova per moltissime specie vegetali ambientate nei nostri parchi, ma per fortuna la maggior parte di esse è agevolmente sopravvissuta anche se mostra i segni inconfondibili delle gelate sugli apici vegetativi. In altre località rivierasche, invece, sono spariti alberi monumentali e gran parte delle palme esotiche sono ridotte a un nudo tronco adatto tutt’al più a far da tutore a qualche rampicante. È un segno questo delle peculiarità climatiche della nostra zona che Calvino bene conosceva e che aveva posto alla base dei suoi esperimenti di ambientazione ai quali ho avuto la fortuna di partecipare; come sanremasco e come amante della natura esprimo l’augurio che Sanremo celebri Mario Calvino, suo figlio illustre, non già con cerimonie e fanfare, che lui certamente non avrebbe gradito, schivo come era, ma con una maggior cura per il patrimonio naturalistico, che in oltre cinquant’anni di attività scientifica il Professore ha costruito nella nostra città. Quelle che seguono sono alcune delle specie importate da Mario Calvino e che si possono ancora trovare nei giardini e nei parchi della città. 

Carica papaya È una pianta originaria del Centroamerica, conosciuta e utilizzata in tutta l’America da molti secoli, anche se oggi la sua diffusione si è estesa in molti paesi di altri continenti, principalmente in Asia e Africa. Nelle serre e nelle fasce della Stazione Sperimentale avevamo in coltivazione moltissime specie di papaya provenienti da diverse parti del mondo e le principali varietà ottenute dagli specialisti di colture tropicali. Della specie principale, la Carica papaya, ottenemmo moltissimi esemplari robusti e vigorosi, ma solamente qualche frutto giunse a maturazione completa. Erano simili a grossi meloni allungati, di color giallo verdastro che pareva uscissero direttamente dal tronco. Dalla Carica cestriflora raccogliemmo invece a più riprese grandi quantità di saporose ‘susine’ verdastre che costituivano una succulenta e inconsueta merenda, dissetante, corroborante e fortemente digestiva per le sostanze albuminoidi in esse contenute.

Psidium guaiava È un piccolo albero appartenente alla famiglia delle Mirtaceæ e coltivato per il valore commerciale dei suoi frutti. Il suo luogo di origine non è sicuro, ma si ritiene essere l’area compresa tra il Messico meridionale e l’America Centrale. Era già nota agli Aztechi, che la chiamavano prugna di sabbia. Le piante formavano un cespuglio verde lucente simile con foglie larghe. I frutti erano abbastanza grandi, aromatici e profumati. In Brasile, dove nascono spontanei, sono molto apprezzati e consumati sia allo stato fresco, sia in gelatine o conservati sotto spirito. Le piante più belle di tutta Sanremo le coltivava un amico del Calvino, il sig. Perego, che aveva un bellissimo giardino nelle vicinanze del campo sportivo dove teneva esemplari enormi di piante di banane che producevano caschi con numerosissimi di frutti.

Carissa grandiflora La Carissa, bellissima pianta cespugliosa nativa di Natal (Sud Africa), veniva utilizzata come bordura nel giardino di corso degli Inglesi. Aveva bellissime foglie lucide e fiori bianchi profumati, che ricordavano quelli della gardenia. Produceva frutti ovali della grandezza delle susine, eduli; nel paese d’origine venivano usati per farne composte di frutta (naturalmente dopo la scomparsa del Calvino furono distrutte assieme a molti altri frutti tropicali). Le piante del genere Carissa hanno una particolarità: frutti perfettamente commestibili anche se appartengono alla famiglia delle Apocynacee, nota perché comprende alcune tra le piante più velenose come l’Oleandro, la pervinca e la Plumeria.

Fejoia sellowiana È un’altra di quelle piante che, oltre alla bellezza dei fiori dai petali carnosi e alla delicatezza armoniosa del fogliame di un blu cenere, ha il pregio di regalarci dolcissimi frutti profumati e aromatici. È originaria della zona subtropicale dell’America del Sud e appartiene alla famiglia delle Mirtaceæ. È una specie sempreverde, arbustiva e cespugliosa; nella zona d’origine può raggiungere anche gli 8 metri di altezza. Anche di queste piante ne avevamo prodotti molti esemplari. Oggi parecchi di questi esemplari sono ancora presenti a Sanremo nel parco di Villa Ormond, ma vengono potati come siepi e naturalmente non producono più frutti.

Tacsonia mollissima Ha una storia strana; ricevemmo i semi dall’America, credo dal Perù. La coltivai con ogni cura nell’angolo più bello del giardino, la concimai e la trattai come l’esemplare più raro del giardino, ma non diede mai nessun frutto; solo sporadicamente fiori tubolari di colore rosa intenso. Per darle miglior protezione la piantai vicino alla vecchia vaseria, dove il sole batteva anche durante l’inverno. Un’estate mentre cercavo qualche cosa che mi serviva, scorsi tra il muro di cinta e quello della vaseria, semisepolta da vecchi cespugli, un lungo ramo di tacsonia, carico di frutti maturi: erano simili a piccole banane di un bel colore giallo dorato tendente all’arancio. Li provai con una certa curiosità e li trovai di un sapore piacevole, aciduli, che ricorda l’arancio e l’ananas. Da allora quello fu uno dei miei angoli preferiti. In seguito seppi dal prof. che la tacsonia è conosciuta nelle Ande Peruviane come curuba ed è molto apprezzata specialmente per mescolarne il succo assieme al latte e ottenere una specie di gelato.

 Cyperus esculentus Nell’istituto abbiamo introdotto, per fini alimentari,  la coltivazione di questa specie di graminacea, che produce un tubero commestibile conosciuto con il nome di zigolo dolce. Questi tubercoli di forma irregolare, della grandezza di una mezza nocciola hanno un sapore di latte di mandorle, sono di coltura facilissima e non richiedono cure particolari. Calvino mi diceva che in Spagna erano conosciuti e utilizzati per farne una specie di bibita che chiamavano orzata di chufa.

Casimiroa edulis Questo bellissimo albero appartenente alla famiglia delle Rutaceæ, alla quale appartengono anche gli agrumi; è originario del Messico, dove è conosciuto come zapote bianca. Era tenuta in grande considerazione dalle popolazioni precolombiane per i frutti commestibili e per le proprietà ipnotiche e allucinogene della farina dei semi. Il frutto ha dimensioni variabili tra quelle di una grossa noce e di una mela. Ne avevo un bellissimo esemplare che produceva frutti grandi e molto saporiti, vicino a un vecchio pozzo in corso degli Inglesi, alla Stazione sperimentale. È un frutto dalla polpa liquescente e pelle finissima che dev’essere raccolto ancora acerbo. Noi ragazzi nascondevamo i frutti nelle tasche dei muri a secco per mangiarli alcuni giorni dopo se li ritrovavamo. Era un’introduzione interessante, che avrebbe potuto benissimo ornare i nostri giardini-frutteti della Riviera. Pianta resistente e di aspetto interessante non ha avuto il riconoscimento che meritava; oggi è difficile trovarne esemplari in Liguria. Molte delle vecchie piante sono state distrutte dalla noncuranza e dell’ignoranza compreso il bellissimo esemplare piantato da Calvino alla Stazione Sperimentale.

Citrus maxima o pompelmo Era una delle piante preferite dal Calvino che ne aveva una grande piantagione nel suo podere di San Giovanni; alcune varietà avevano i frutti tondi altre ovali altre ancora avevano la polpa rosata, la pelle liscia o rugosa. Il prof. ne decantava le proprietà come frutto o come medicinale, dato l’alto contenuto di vitamine. Ne aveva molte giovani piante che distribuiva ai contadini per incrementarne le piantagioni. Era orgoglioso del suo frutteto e predicava un avvenire sicuro al pompelmo, come del resto è avvenuto. Oggigiorno lo importiamo da paesi esteri per miliardi assieme all’altra frutta tropicale e raramente ne troviamo coltivati nei nostri giardini, mentre è una pianta di facile coltivazione e buona resa. Questo è un altro dei tanti misteri del nostro antiquato sistema agricolo.

Polymnia edulis Il suo nome curioso mi ha sempre ricordato una matrona romana giunonica. Chissà perché a volte i nomi giocano strani scherzi alla nostra fantasia. In seguito ho saputo che il suo nome deriva dalla musa Polimnìa, una figura della mitologia greca, una delle nove figlie di Zeus. Questa pianta apparteneva alla numerosa famiglia delle Compositæ ed era originaria dell’America. Era stata anch’essa introdotta da Calvino come cibo per gli uomini e come foraggio per gli animali. Le grandi foglie erano molto apprezzate dagli animali, specialmente dai bovini. Le radici ricordano i tuberi delle dalie e ha i fiori gialli simili alle margherite. È una delle piante maggiormente coltivate nelle regioni delle Ande per i suoi tuberi mangerecci, anche se hanno la consistenza vetrosa dei tuberi della dalia e la pelle ha un gusto resinoso e per questo viene rimossa. A un primo assaggio la radice presenta un gusto forte di amido, che però diventa subito dolce. È croccante e succosa, ed è deliziosa consumata cruda. La radice può essere mangiata da sola o aggiunta alle insalate.

Pistacia vera È un piccolo albero alto sui 6 -7 metri e originario del Medio Oriente, dove veniva coltivato già in età preistorica. Appartiene alla famiglia delle Anacardiaceæ. Il grande Teofrasto lo chiamò pistake, un vecchio nome greco; i Persiani lo conoscevano quale pista. Gli arabi lo introdussero in Occidente e il termine siciliano festuca, con cui si indicano sia la pianta che il frutto prodotto, deriva direttamente dalla parola araba. Dopo la sua introduzione in Europa, viene coltivato nelle zone aride del meridione per i frutti simili a piccole susine contenenti un seme oleoso dal sapore delicato, il ben noto pistacchio, conosciuto anche per il suo grande uso in pasticceria e gelateria. Era stato introdotto da Calvino per essere innestato sul nostro comunissimo Pistacia terebintus, che si abbarbica sugli scisti delle zone secche collinari, alle spalle delle nostre città liguri. L’esperimento risultò positivo aumentando la produttività e il vigore della pianta, perché il nostro terebinto era in grado di vegetare anche in terreni poco profondi o rocciosi.

Hakea laurina La gloria dei giardini della Riviera In alcune guide turistiche del primo Novecento si decanta un grazioso cespuglio che si ricopre di un fiore rosso a forma di palla con lunghe appendici gialle che lo fanno somigliare a un riccio di mare. Questa pianta appariva in molti giardini del ponente e veniva pomposamente denominata ‘Gloria dei giardini della riviera’. Quando Calvino me la mostrò e me ne decantò le caratteristiche biologiche e le potenzialità commerciali credevo che quel cespuglio dalle foglie ricurve fosse soltanto uno dei tanti Eucaliptus che giungevano continuamente dall’Australia. Era invece l’Hakea, una delle piante autoctone  più ammirate del sud-ovest dell’Australia, coltivata come fiore reciso, ma usata anche come pianta ornamentale nei giardini e come bordura. Come per l’Eucalyptus globulus, anche questo fiore si raccoglie ancora chiuso. I fiori sbocciano benissimo in acqua e sono di lunga durata. È anche una bella pianta da vaso, oppure inserita come cespuglio fiorito nel giardino. Ne abbiamo coltivato molte piante che, come d’abitudine del professore, abbiamo distribuito ai floricoltori, indicandola come una pianta del futuro. Anche di questa curiosa e bellissima pianta se ne trovano ormai pochissimi e rari esemplari sparsi nei giardini della Liguria.

Calochortus Il giglio della California Era il lontano 1940, io avevo appena incominciato il mio tirocinio di giardiniere come borsista e nel mese di agosto il sole bruciava le scogliere nude, i pendii ricchi di erbe aromatiche, i giardini poveri d’acqua. La calda estate aveva reso il nostro giardino povero di fiori, solamente le piante abituate alla siccità e ai grandi calori sbocciavano tra la terra arsa; una di queste era il mio amico Calochortus, dai grandi fiori simili a tulipani, vagamente colorati conosciuti sin dal periodo inca come ‘fiore farfalla’ per le bellissime sfumature interne. Il Calochortus (kalos = bellissimo e chortus = erba) è chiamato così per la bellezza del fiore e per le foglie simili a graminacee. È anche conosciuto nei paesi d’origine come Mariposa Lily, per la leggerezza delle corolle che appaiono all’occhio del viaggiatore come farfalle policromatiche posate su fili d’erba. È una delle vecchie piante che Calvino mi raccontava di aver visto fiorire sulle montagne del Messico. La prima specie che ho visto coltivata a Sanremo era il Calochortus venustus dai grandi fiori bianchi, gialli alla base, striati di rosso cremisi nella parte inferiore, con una grande macchia rossa. Originaria della California, era stata introdotta per la prima volta in Europa nel 1836. Noi ne avevamo molte specie tenute per prova e, tra queste, ricordo bene la ‘messicana’, dai petali verdastri striati di rosso e bianco.

Phylica ericoides L’erica bianca L’inverno nelle nostre terre non è pungente, grigio, melanconico, come in altre parti d’ltalia e d’Europa, perciò quel piccolo cespuglio compatto, dai fiori minuti riuniti in cime bianche profumate di miele, mi pareva una pianta come tutte le altre. Ma quando l’ho rivisto in un mercatino del Nord, nascosto tra un grigiore argenteo di nebbia, mi è sembrato più bello, diverso, anche il lieve profumo di miele sembrava più intenso. Ne coltivavamo molte piante per distribuire ai floricoltori della Riviera, data la caratteristica di fiorire nei mesi invernali e profumare il balcone. Sono arbustive di forma arrotondata, di  taglia media, possono raggiungere i 40 cm di altezza. Sono sempreverdi e mantengono le foglie per tutto l’arco dell’anno e in primavera, con la fioritura, assumono una bellissima colorazione bianca.

Teucrium fruticans Un cespuglio molto frugale Questo cespuglio, comune lungo la strada ferrata dalla frontiera francese in tutta la Riviera, è da tempo inserito nei giardini come pianta ornamentale. Il nome del genere deriva da Teucro, il primo re di Troia, che, secondo le leggende, fu il primo a far conoscere la conoscenza delle virtù medicinali di alcune piante di questo genere. È molto interessante e bello per il grigio argento della sua foglia, che si fonde armoniosamente con il lilla pallido del fiore labiato. Allo Sperimentale, con Calvino, ne avevamo selezionata una varietà con fiori più scuri, quasi blu, che si distribuivamo ai giardinieri. Era realmente una bella novità per il tipo di fioritura più appariscente, ma con la stessa pregevole caratteristica di poter vivere in zone aride della costa, di non patire il salmastro dei venti marini e di sopportare bene il taglio. Queste caratteristiche permettono una coltivazione sia come cespuglio libero sia come siepe con fioritura abbondante. Sicuramente una pianta indispensabile per luoghi proibitivi e molto aridi.

Canna edulis Una canna da mangiare È una pianta simile alla Canna indica, ma con foglie verdi lanceolate macchiate di bruno, fiori grandi di colore rosso giallastro, e può raggiungere i 2 metri di altezza. Storicamente coltivata nelle Ande per uso alimentare, il suo grande tubero era solitamente arrostito per ore, fino a renderlo morbido e dolce. Ma a causa della scomodità dei tempi di cottura molto lunghi, il suo uso alimentare si è ridotto fino a scomparire quasi del tutto. La sua coltivazione è ripresa negli ultimi anni (non nella sua area originaria, ma) in Vietnam e nel sud della Cina, dove è usata come materia principale per la preparazione di alcuni piatti. È stata introdotta nei giardini europei nell’800 come pianta ornamentale. Il professor Calvino la introdusse a Villa Meridiana come pianta alimentare, ritenendo che le grosse radici ricche di sostanze amidacee e zuccheri, potessero sostituire o costituire un’alternativa alla patata. Io le ho provate cucinate in tutti i modi, bollite e fritte, il sapore è gradevolmente dolciastro ed è sicuramente una pianta interessante per uso alimentare. I fiori sono ornamentali ed è attraente nelle insalate. Le sue foglie inoltre possono essere utilizzate come quelle del banano per preparare involtini da fare arrosto o da grigliare, perché conferiscono un gradevole sapore al cibo.  Le azalee e i rododendri di San Romolo Durante una visita al celebre Parco della Burcina, nei pressi di Biella, Calvino rimase particolarmente colpito da quella meravigliosa collina interamente ricoperta di rododendri e dall’incredibile miscuglio di forme e colori, dai lunghi rami contorti che coprivano la smagliante fioritura delle azalee e delle ortensie. Al suo ritorno a Sanremo, fece seminare molte varietà di azalee e rododendri per piantarle a San Romolo e a Monte Bignone. Considerando il clima della zona, simile a quello prealpino, la sua idea era di trasformare questi luoghi in un centro botanico, una specie di Burcina trasferita nel nostro angolo di Riviera. I semi nacquero, le piantine divennero presto piccoli cespugli imprigionati nei contenitori di coccio. Ma la guerra arrivò improvvisa e fece terminare l’esperimento, distruggendo anche questo sogno. Se fosse diventato realtà, oggi, dopo più di 40 anni dalla sua piantumazione, poteva offrire alla nostra vista panorami e paesaggi, che ci avrebbero ricordato i monti della Cina o del misterioso Tibet, dove queste essenze crescono spontaneamente. San Romolo e monte Bignone sarebbero sicuramente diventate una ricercata meta turistica, un’altra perla incastonata nel gande arco della nostra Riviera di Ponente. Si dice che non è mai troppo tardi per incominciare un’opera; perché non seguiamo le orme di un grande amico e maestro, amante sincero della nostra terra com’è stato Calvino e non assecondiamo il suo vecchio sogno? Un fiore dall’Australia

L’Anigozanthos manglesii fioriva in un letto pieno di terra d’erica e foglie sfatte al riparo del muro della vaseria. Questa stravagante pianta, originaria dall’Australia, appartiene alla poco conosciuta famiglia delle Hæmodoraceæ. È una erbacea perenne e ha fiori aperti con perianzio tubolare allungato coperto da lanugine, foglie intere ensiformi. La coltivavamo in terriccio torboso e terra da prato. Ricordo l’Anigozanthos manglesii dai fiori verdi con stigma lungo su spighe forti, fioriva a fine primavera; lo stelo era coperto da una peluria vellutata fitta di un bel cremisi. Raggiungeva l’altezza di un metro e più ed era la specie che coltivavamo con maggior successo perché formava dei bellissimi cespi ricchi di fiori. Il suo nome comune è ‘zampa di canguro’, perché la forma del fiore e la peluria che racchiude i petali ricorda la zampa anteriore di questo animale australiano. L’aspetto del fiore particolare e il lungo periodo di fioritura lo rendono molto interessante e viene anche usato per attrarre farfalle e uccelli. Questo fiore resistente e di facile coltura, con nuove selezioni e ibridazioni sarebbe potuto diventare una buona pianta da fiore reciso. Oggi, infatti, i mercati olandesi importano tra i numerosi fiori tropicali molti fiori di specie diverse di Anigozanthus. Calvino lo aveva previsto oltre 70 anni prima.

Ipomoea bonanox La campanella nottambula Sulle palme di villa Meridiana si arrampicavano le ipomee Morning Glory dalle stupende corolle blu cielo. È una pianta originaria dell’America latina, con foglie ovali, verdi, e con fiori rotondi, che si riconoscono per la tipica forma a campanella, di solito blu. Per la sua bellezza è molto diffusa in Europa come pianta ornamentale da appartamento e da giardino. Un giorno mi diedero da seminare una nuova specie, appena arrivata dal Messico, si trattava dell’Ipomoea bonanox dai fiori grandi, bianchi, profumati, che avevano l’interessante caratteristica di sbocciare alla sera, quando le altre Ipomee si chiudono, e di chiudersi al mattino, quando le altre si aprono. In questo modo le palme della villa erano sempre fiorite: azzurre di giorno, bianco puro di notte. La sera prima che sbocciassero, il professore mi chiamò per assistere insieme all’evento. Era la prima volta che assistevamo a questo spettacolo straordinario ed eravamo emozionati. Le corolle chiuse improvvisamente e tutte insieme si aprirono con un movimento rapido, in pochi istanti tutta la pianta era ricoperta da una luce bianca smagliante. Le grandi corolle candide presentavano una corona di gocce che sembravano simili a perle. Il Calvino mi spiegò che questo fenomeno era dovuto allo sforzo dei fiori di aprirsi, come una madre che suda dopo il parto. Mi parve una risposta intelligente e più volte sono andato a osservare quel nuovo mistero della natura. Oggi questa pianta originaria del Messico è diffusa presso le regioni tropicali di tutto il mondo. Qualche esemplare di questa pianta si trova ancora in qualche angolo della città, ma non più a villa Meridiana.  

Tagetes patula arborescens Il garofano indiano Un bell’esemplare di garofano indiano cresceva nella villa vicino alla grande Phoenix canariensis, che gli faceva da sostegno. I suoi lunghi rami raggiungevano i due metri e forse più di altezza. Appena messa a dimora, sul principio la piantina si presentava come una comune Tagetes patula, ma, quando le altre avevano quasi finito di fiorire, l’arborescens continuava a crescere vigorosa. Solo a fine estate cominciava la sua meravigliosa fioritura, che si protraeva sino all’arrivo del freddo. Ricordo che nelle annate più miti, la fioritura continuava durante l’intero inverno. I fiori di questa specie erano più grandi dei comuni tagete e i colori variavano dal giallo macchiato di bronzo al marrone dorato. Sono anni che questa varietà è completamente scomparsa dai giardini. È un peccato, perché nel giardino offriva una nota di colore quando la natura si andava ad addormentare ed anche la dalia aveva terminato la fioritura.

 

Fra le principali specie introdotte meritano di essere ricordate: Hedychium coronarium (India 1926), Dahlia Maxoni (Guatemala 1926), Photinia arbutifolia (California 1927), Anigozanthos Manglesi (Australia 1939).
Nel 1934 vi è notizia dell’introduzione del Chaemelaucium uncinatum e varie piante ornamentali come Oreopanax capitata, Trevesia palmata, Ficus sp, Sanseviera, piante da foraggio, da alcool e così via.Persea drimifolia e di Casimiroa edulis, vengono inviati dal Messico nel 1909. Nel 1910 vengono piantati a Sanremo i primi esemplari di “Grapefruit” sempre inviati da Calvino dalla Florida. Nel 1938 esce una pubblicazione sulle varie specie e sulla coltivazione dell’Avocado e al Congresso Internazionale di Berlino presenta una relazione sulla diffusione a Sanremo di frutti tropicali e subtropicali. Dopo il suo rientro in Italia nel 1925 come Direttore della Stazione Sperimentale di Floricoltura “Orazio Raimondo” sviluppa la coltivazione della Sterlitzia reginae. Centranthus ruber  analisi

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