MECCIA GIANNI Cantautore

Ferrara dovrebbe ricordare con maggiore orgoglio due “primati”, nel mondo della musica: nell’XI secolo, a Pomposa, Guido monaco ha l’idea di dare un nome alle note, posizionandole sul rigo, iniziando il percorso che porterà al linguaggio universale che è la scrittura musicale, e dopo più o meno un millennio proprio per un ferrarese viene coniato il termine “cantautore”. Una parola che usiamo tutti e che pare sempre esistita, invece due termini sono stati uniti in uno solo da Vincenzo Micocci ed Ennio Melis, celebri discografici italiani. Ha raccontato Melis: “Un giorno Micocci, il direttore artistico, mi dice: ‘Questi cantano però sono anche autori’ e io: ‘Chiamiamoli cantautori!’. Un omaggio appunto per Gianni Meccia, un musicista nato proprio oggi, 2 giugno, 89 anni fa a Ferrara, in occasione del lancio del suo 45 giri “Il barattolo”, nel 1960.  I GIOVANI GIANNI MECCIA E GIANNI VITALI, ATTORI E CO-REGISTI DI VARIE RIVISTE MUSICALI FERRARESI, TRA LA FINE DEGLI ANNI ‘40 E I PRIMI DEL ’50 Nato dunque nel capoluogo estense nel 1931 da madre ferrarese e padre molisano, Meccia passa la sua giovinezza qui in città. La sua è una famiglia di musicisti: il nonno organista, le sorelle insegnano pianoforte. Mentre lui, da ragazzo, è attratto dal teatro “leggero” e le sue prime esperienze artistiche sono come attore e regista nelle compagnie universitarie della città, tra la fine degli anni ’40 e gli inizi dei ’50. Insieme all’amico Gianni Vitali, anch’egli ferrarese, compone musiche e sceneggiature che fanno nascere alcune Riviste musicali. Di queste “Effemeridi studentesche” possiamo gustare le locandine, i divertenti testi, i bozzetti dei costumi ed alcune fotografie di momenti di scena, grazie a Valeria Vitali (anch’essa attrice per passione), che li ha conservati tra i ricordi paterni. E così, andando a vedere a teatro spettacoli di Ugo Tognazzi e Gino Bramieri, nel giovane Meccia si fa chiaro il desiderio di intraprendere davvero quella strada e nasce la convinzione di partire per Roma per cercare di realizzarlo. Abbandonando questa sua piccola città, che appunto gli “stava stretta”. L’amicizia con Vitali (che non l’ha seguito perché a Ferrara aveva già lavoro e fidanzata) rimane in qualche lettera, in cui racconta le sue prime esperienze e progetti importanti, come l’ipotesi di una sua piccola partecipazione a film di Antonioni e a La donna del fiume di Soldati. Certamente le sue presenze come attore saranno in vari film musicarelli, un genere di grande successo negli anni Sessanta, dove i protagonisti erano cantanti di fama con i loro più recenti album discografici. Tra questi Nel blu dipinto di blu (con Domenico Modugno, Vittorio de Sica, Giovanna Ralli, Franco Migliacci), “Urlatori alla sbarra” (con Mina, Adriano Celentano, Umberto Bindi, Lino Banfi e persino Chet Baker), in cui recita in vivaci ruoli di personaggi delle storie raccontate, o nella parte di se stesso, come in Io bacio tu baci (con Mina, Umberto Orsini, Celentano, Tony Renis, Peppino di Capri e molti altri nomi conosciuti). Film che contiene peraltro il celebre brano Patatina, forse uno dei più conosciuti dalle nuove generazioni, diventato perfino un classico delle canzoni per bambini: I primi anni romani non sono facili ed è in quel periodo che si trova ad avere tra le mani una chitarra e impara da sé a suonarla. L’unico della famiglia che non aveva studiato la musica ”seria”, da autodidatta ma con il colpo d’ali che l’arte come dono naturale a volte regala, inizia ad essere un musicista. Nascono così le prime canzoni, nel ’59, dai testi ironici e surreali, come Odio tutte le vecchie signore (ed altre meno note: ”Non bisogna mangiare i pedoni”, “Anche le guardie possono perdere l’equilibrio”, come racconta in una lunga intervista radiofonica di alcuni anni fa). Ospite del famoso programma “Il Musichiere”, canta quel primo brano che desta scalpore e scandalo perché troppo dissonante e in anticipo rispetto a quel tempo. Ma che è delizioso da rigustare adesso: Finché, entrato grazie a Vincenzo Micocci alla RCA, segue i suoi consigli e inizia a comporre canzoni, come le straordinarie Il barattolo e poi Il pullover, meno graffianti ma certamente sempre originalissime e quantomeno insolite per i soggetti protagonisti. E sono subito indiscussi successi. Ad avere l’idea di creare il suono del vero barattolo che rotola, rimbalzando e sbattendo qua e là, è il grandissimo Ennio Morricone, qui al suo primo arrangiamento, l’inizio di una lunghissima e straordinaria serie di composizioni. A conferma della popolarità che aveva Il barattolo, va ricordato che Florestano Vancini lo sceglie per accompagnare le scene finali del film La lunga notte del ‘43, quando uno dei protagonisti ritorna di passaggio in città nell’estate del ’60. Rendendo indimenticabile e struggente il contrasto tra il dramma passato e la leggerezza dolce e malinconica del brano, segno di quel presente. Risentiamo anche Il pullover, canzone morbida e avvolgente proprio come il maglione che pare ridonare il calore dell’amata e che Meccia racconta di aver ironicamente concepito quando un gregge di pecore attraversava la strada davanti alla sua auto. In quegli anni, oltre a creare per sé scrive anche per altri cantanti, sia come paroliere che come compositore. Sarà lungo l’elenco: per Domenico Modugno, Non restare fra gli angeli, per Mina Folle banderuola, Il plip per Rita Pavone, Uno dei mods per Ricky Shayne, Se perdo anche te per Gianni Morandi e molti altri.

Scrive le parole dell’incredibile seppur poco ricordato Concerto per Patty, una lunga suite di Patty Pravo. Ma il suo più grande successo come autore è però indiscutibilmente grazie allo splendido testo da lui composto per Il mondo, reso famosissimo da Jimmy Fontana, che lo canta e che è conosciuto davvero in tutto il pianeta, se oltre centocinquanta sono le versioni di altrettanti paesi. Sicuramente molto meno nota, ma una vera curiosità, è Cose inutili, una canzone nata in collaborazione con Ugo Tognazzi, in cui l’attore ha scritto il testo e Meccia la musica. Apparsa anche a Sanremo, cantata da Fausto Cigliano. Dopo anni vissuti come cantautore, attore, autore, compositore, nel ’70 l’artista lascia spazio al talent scout, diventa discografico e decide di fondare con Bruno Zambrini una casa di produzione, la Pull (forse grazie al successo de Il pullover) che tra gli altri fa nascere anche il gruppo musicale pop I cugini di campagna, dove si svela ancora una volta il suo gusto ironico nella scelta del nome. Ma continua talvolta a comporre e ritorna a salire sul palcoscenico televisivo, come nei lunghi anni (1984-2003) in cui, con Jimmy Fontana, Nico Fidenco e Riccardo Del Turco si era creato il gruppo I Super 4.  Alcuni anni fa ho avuto il grande piacere di poter dialogare lungamente con lui, in una telefonata. Ero a Roma e intimamente speravo anche di poterlo incontrare, ma non ho avuto il coraggio di chiederglielo. Approfittando della lontana amicizia che c’era stata tra lui e i miei genitori e lo stesso Gianni Vitali, ho accennato a questo scritto che desideravo già da allora di dedicargli. Nella consapevolezza che sarebbe stato un piccolo ma sentito omaggio ad un grande artista, che ha saputo rinnovare la musica leggera italiana degli anni ’60 e che la nostra città distrattamente non celebra quanto dovrebbe.
Mi ha commosso scoprire quanto ricordasse con affetto i suoi amici ferraresi ed è stato prezioso il suo racconto di vari aneddoti: di quando il giovane Vancini lo avesse quasi invidiato per il suo coraggio di abbandonare la città natia per seguire il suo sogno, e di quanto questo fosse stato poi lo stimolo per seguire egli stesso il proprio, divenendo il famoso regista.

PROBABILMENTE SCATTATA NEL GIARDINO DI PALAZZO ROVERELLA, DOVE SI BALLAVA CON L’ORCHESTRA NELLE SERATE ESTIVE, IN QUESTA IMMAGINE APPARE MECCIA SORRIDENTE A LATO DI DUE ELEGANTI SIGNORINE, MENTRE SULLO SFONDO SI INTRAVEDONO I MUSICISTI
Dell’amicizia con Carlo Rambaldi, poi dei suoi ritorni in città solo per salutare le sorelle, fino a quando erano in vita, infine la vendita della casa di famiglia. Da allora Ferrara non è più stata una meta del cuore, se non per un saluto a Beatrice Virgili, figlia di una sorella. Che ringrazio, perché in questi giorni mi ha dato buone notizie dell’amatissimo zio, che lascia ogni tanto la sua casa romana dove vive con la moglie, molto più giovane di lui (ha una figlia e una nipotina) per vacanze marine o alpine.

 

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